Anche dal confronto tra le retribuzioni, le differenze tra Nord e Sud sono molto evidenti. Se gli occupati nelle regioni settentrionali percepiscono una retribuzione media giornaliera lorda di 101 euro, i colleghi meridionali ne guadagnano 75: insomma, i primi portano a casa uno stipendio giornaliero del 35 per cento più “pesante” dei secondi. Questa differenza, sostanzialmente, è dovuta, alla produttività del lavoro; al Nord, infatti, è del 34 per cento superiore al dato del Sud.
Questi aspetti emersi dall’elaborazione realizzata dall’Ufficio studi della CGIA su dati INPS e ISTAT ripropongono una vecchia questione: gli squilibri retributivi presenti tra le diverse aree del Paese, in particolare tra Nord e Sud, ma molto evidente anche quelli tra le aree urbane e quelle rurali. Tema che le parti sociali hanno tentato di risolvere, dopo l’abolizione delle cosiddette gabbie salariali avvenuta nei primi anni ’70 del secolo scorso, attraverso l’impiego del contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL).
L’applicazione, però, ha prodotto solo in parte gli effetti sperati. Le disuguaglianze salariali tra le ripartizioni geografiche sono rimaste e in molti casi sono addirittura aumentate, perché nel settore privato le multinazionali, le utilities, le imprese medio-grandi, le società finanziarie/assicurative/bancarie che – tendenzialmente riconoscono ai propri dipendenti stipendi molto più elevati della media – sono ubicate prevalentemente nelle aree metropolitane del Nord. Le tipologie di queste aziende dispongono anche di una quota di personale con qualifiche professionali sul totale molto elevata con livelli di istruzione alti a cui va corrisposto uno stipendio importante.
Infine, non va nemmeno dimenticato che il lavoro irregolare, molto diffuso nel Mezzogiorno, da sempre provoca un abbassamento dei salari contrattualizzati dei settori che tradizionalmente sono investiti da questa piaga sociale come agricoltura, servizi alla persona, commercio.